Ad un gruppo di profughi,che dall’isola di Korkula, su barche superaffollate approdarono a Bari all’indomani del Raid Tedesco del 2 dicembre 1943,si presentò una città dove vorticava fumo e ardevano case per il recente bombardamento.
La ricerca storiografica ha messo in luce la catastrofe del porto per i suoi aspetti militari,per la perdita di interi equipaggi,per l’incendio e affondamenti delle navi. L’attenzione si è concentrata sulle conseguenze della contaminazione chimica di tutta l’area portuale.
La “John Harvey”, statunitense, trasportava infatti un ingente carico di bombe all’iprite,che furono disseminate nell’area circostante.
Il gas tossico mescolato alla nafta che bruciava, fu alla base dell’immane disastro e della morte e ferimento di circa mille militari anglo-americani.
A Bari Vecchia fu sgombrato l’istituto per sordomuti e ciechi ed i ricoverati e le suore furono accolti nell’ospedaletto dei bambini.Tra le vittime si contano diversi profughi e alcuni non identificati.Diversi militari della motonave italiana “Barletta” furono ricoverati nella scuola “Balilla” trasformata nel corso del conflitto in ospedale per feriti e contaminati da aggressivi chimici.
Tutta la città, per anni, visse in una condizione di estrema precarietà, per la carenza di beni di prima necessità, per le continue requisizioni, per il coprifuoco, le malattie e per la tensione costante dei bombardamenti.
Alba de Cespedes, profuga a Bari da pochi giorni,nota per le trasmissioni Radio Bari, affermò: “Della città ricordo un mare sempre grigio, anche se spesso ci sarà stato il sole.La sera, scrutavo il cielo della città oscurata perché, dopo il grande bombardamento del 2 dicembre, avevamo paura degli aerei tedeschi”.
Gabryel Ferrara 3B
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