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Intervista al Sommo Poeta

Con l’aiuto di una macchina del tempo ho incontrato Dante Alighieri, il celebre scrittore e poeta fiorentino, ecco il mio racconto.
E’ il 1319 e mi trovo a Ravenna, nel bellissimo palazzo di Guido da
Polenta, devo intervistare uno dei suoi ospiti più importanti… Eccolo
laggiù: Dante Alighieri, seduto alla sua scrivania, con la penna d’oca in mano.
Sono moltissime le domande che da sette secoli vorremmo porgli, forse finalmente potrò fornire delle risposte con quest’intervista.
Signor Dante, posso disturbarla con qualche domanda?
“Ma certo. Mi dica: cose vuol sapere?”
Perché si fa chiamare con il diminutivo Dante e non Durante?
“Non l’ho stabilito io di chiamarmi Dante, ma i miei contemporanei mi
hanno sempre chiamato con il diminutivo… tutto sommato non mi
dispiace!”
Dove è nato e dove ha vissuto da piccolo?
“Sono nato a Firenze nel 1265 e ci sono rimasto fino all’esilio cioè fino
all’età di 37 anni.”
Può parlarci un po’ della sua famiglia?
“Provengo da una famiglia di mercanti, gli Alighieri. Mia madre era Bella degli Abati, mio padre si chiamava Alighiero di Bellincione, mia sorella Gaetana Alighieri e mio fratello Francesco Alighieri. Purtroppo ho perso mia madre a cinque anni e mio padre a diciassette.”

Sappiamo che il suo non è stato un matrimonio d’amore, è vero?
“Sono sposato ma il mio è stato un matrimonio “combinato”… la mia
famiglia si è accordata con quella di Gemma Donati per farci sposare, ma purtroppo non è stato un matrimonio felice, infatti durante i vent’anni dell’esilio non ci siamo più rivisti. Devo ammetterlo: per mia moglie Gemma non ho mai scritto neppure un verso. Che posso farci? La mia fonte di ispirazione è sempre stata l’onesta e gentile Beatrice.”
Ricorda il suo primo incontro con Beatrice?
“Me lo ricordo come se fosse ieri. Avevo nove anni, lei otto: ricordo bene quel 1° maggio 1274. Era la festa di Calendimaggio: la vidi nella folla, con quei suoi occhi azzurri e l’abito rosso porpora, e il cuore cominciò a tremare così forte che il tremito si trasmise a tutto il corpo.”
Quale episodio della sua vita lo ha fatto soffrire maggiormente?
“Dopo la morte di Beatrice, senza dubbio, l’episodio che più mi ha
segnato è stato l’ esilio da Firenze al quale sono stato costretto contro il mio volere.
A proposito d’esilio… non è che ‘se l’è cercato’?
“Cara ragazza, io credo che nella vita bisogna avere coraggio di far valere le proprie idee. Io ho avuto sempre delle idee politiche sempre molto chiare, mi sono schierato con i Guelfi Bianchi che volevano difendere Firenze dal dominio di papa Bonifacio VIII che si era impadronito della mia città, questo mi costò la condanna all’esilio.
Se tornasse indietro agirebbe allo stesso modo?
“Certamente, come ho detto prima, bisogna avere il coraggio delle
proprie azioni ed io non ho alcun rimpianto riguardo al mio passato.”
Perché ha scritto la Commedia?

La mia Commedia descrive il viaggio ideale che ogni essere umano può fare verso la salvezza e la pace interiore. Questo viaggio l’ho compiuto per primo proprio io! E per vari motivi… Nel 1920, ho perso l’amore della mia vita, Beatrice, che morì a soli 24 anni. Sono seguiti anni burrascosi e difficili, di infelicità e dubbi, anche religiosi. Mi ero smarrito. Compiere quel viaggio quasi impossibile è stato una salvezza per me. In realtà, ho sempre pensato di essere stato investito da Dio nella missione di indicare all’umanità la via della salvezza. Per questo, ho compiuto il viaggio nei tre regni dell’oltretomba, per esplorare tutto il male del mondo che si
concentra nell’Inferno, trovare la via della purificazione nel Purgatorio, salire fino a vedere Dio nel Paradiso. Tutto ciò che ho appreso in quel viaggio miracoloso, una volta tornato sulla Terra, sapevo di doverlo raccontare agli altri uomini, in modo che potessero vedere “la diritta via che hanno smarrito”.
I numeri hanno un forte valore simbolico per lei, vero?
“La mia Commedia è come un castello, con tante porte, alcune visibili, altre nascoste. Due delle chiavi che aprono quasi tutte le porte sono ilnumero tre e il dieci; il primo simboleggia la Trinità Divina, il secondo la perfezione.”
La cosa che mi incuriosisce da sempre, signor Dante, è conoscere il luogo in cui ha composto la cantica dell’Inferno. E’ possibile?
“Ma certo. Nel mese di ottobre del 1306, mi trovavo in Lunigiana, ospite del mio amico Malaspina, marchese e capo dei Guelfi neri toscani. Ed è proprio tra la Lunigiana, il Casentino e Lucca che mi rimisi all’opera sui primi canti dell’Inferno. Mi “rimisi” perché in realtà, la prima scrittura dell’Inferno risale a tempo prima… Avevo scritto i primi sette canti della commedia a Firenze, su un quadernetto che mia moglie Gemma aveva poi nascosto in un cassettone quando sono fuggito da Firenze. Circa cinque anni più tardi, dovendo cercare dei documenti, Gemma frugò nel cassettone e ritrovò il quadernetto, che fu letto da altri, apprezzato e rimandato proprio da me presso il mio amico Malaspina, che leggendo
quei primi sette canti, mi incitò a proseguire nella scrittura.”
Cosa consiglierebbe ai giovani che vogliono diventare scrittori?
“Consiglierei prima di ogni cosa l’amore per quello che si fa”
Bene, l’intervista è finita, la ringrazio per il tempo che mi ha concesso.La saluto.
“Grazie a lei, è stata una bella intervista”

Domenico di Michelino, Dante con in mano la Divina Commedia, 1946

Emma Ridger 2 E

Viviana Siragusa

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Viviana Siragusa

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